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Il rapporto
tra arte, design e artigianato Gli altri interventi: |
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Design e
Artigianato: un rapporto possibile.
Parlare di design e di rapporto con l’artigianato, potrebbe forse
sembrare ad alcuni quasi un’eresia. E’ noto il legame a doppio filo
esistente tra l’ambito disciplinare del design e il modello produttivo
industriale, in particolar modo nell’area milanese a partire già dalla
metà anni cinquanta, che ha dato un notevole contributo alla crescita
culturale ed economica dell’Italia ed ha proiettato, anche all’estero,
l’immagine più positiva del nostro Paese. Tuttavia, fermo restando che tale relazione ha spesso raggiunto ( e ancora raggiunge) elevatissime vette espressive, ci pare che non sia l’unica strada percorribile. Basterebbe ricordare che, alla sua nascita, il design si rapportava ad una idea di industria che, per quanto già avviata sulla scelta tecnologica, era piuttosto lontana dal modello al quale noi oggi facciamo riferimento, assomigliando molto, per l’impiego ancora obbligatoriamente diffuso delle capacità manuali dell’uomo, all’impresa artigiana. Già questa riflessione basterebbe ad azzardare una possibile riconnessione tra progetto di design ed impresa artigiana. Se poi ripercorriamo le esperienze della cultura del progetto degli ultimi cento anni, partendo dalle avanguardie artistiche del primo novecento e passando, poi, attraverso quella stretta relazione design-industria consolidatasi intorno alla metà del secolo, scopriamo l’esistenza di sperimentazioni diverse che, quasi come schegge impazzite, parevano negare proprio quel rapporto. E’ il caso, appunto nella nostra realtà, di Roberto Mango, designer industriale di fama nazionale e, a Napoli, docente universitario di grande rilievo, che proprio negli anni del boom economico e dell’esplosione del rapporto del progetto con la produzione industriale, proponeva e sperimentava nell’area napoletana una diretta relazione design-artigianato, facendo realizzare da artigiani locali bellissimi oggetti che ormai fanno parte della storia di questa disciplina. Evitando di citare altri casi (quali ad esempio i contributi dati da artisti e designers di tutto il mondo alla produzione ceramica di area cavese e vietrese o le esperienze produttive in edizione della Oggetti/Progetti di Napoli) ci viene invece l’obbligo di ricordare che proprio in anni recenti, ci riferiamo agli anni ’80 del secolo appena trascorso, una profonda crisi ha attanagliato la produzione industriale di settore, spingendo le imprese ad attuare nuove strategie produttive. In quegli anni, era l’inizio di quella che sarà in seguito definita "era postindustriale", si modificarono e si ridefinirono i criteri di fondo, proponendo l’eliminazione dell’assunto di una produzione per un mercato di massa, per sostituirla con una strategia produttiva differenziata e di qualità estetica elevata destinata ad un mercato di nicchia. Si trattava, in soldoni, del tentativo di portare dentro l’industria il tipico modello produttivo artigianale, trasferendo in un ambito quelle caratteristiche che, finalmente, si riconoscevano come positive dell’altro. E’ dunque possibile e lecito parlare di rapporto diretto tra momento ideativo, territorio di architetti e designers, e momento produttivo artigiano. Certo, come affermano Raffaele Calace e Mariano De Luca , rispettivamente presidente e vice presidente del Consorzio Artigianapoli , bisognerà lavorare ancora per definire il ruolo dell’artigianato come impresa e individuare strategie idonee allo sviluppo. Ma questo si può certamente fare, ed anche in tempi brevi, specialmente se Artigianapoli assumerà sempre più il ruolo di elemento di connessione dei due momenti, proponendo occasioni di dialogo tra artigiani e designers, anche basati su più frequenti incontri e stages formativi in cui attuare la reciproca trasmissione di competenze professionali e conoscenze specifiche. Massimo De Chiara |
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